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Negli ultimi anni, soprattutto nei Paesi del Nord Europa, si è andato diffondendo il concetto di Shared spaces, basato sull’idea di integrare e far interagire i diversi utenti della strada nello stesso spazio, al fine di restituire alla strada non solo la funzione di transito, ma anche quella di luogo d’incontro e socializzazione.

L’applicazione di questo nuovo concetto comporta l’eliminazione o, quantomeno, la forte riduzione egli elementi di segregazione fra i diversi tipi di utenti e la completa rimozione della segnaletica. Oltre al valore sociale e ambientale di tale approccio, alcuni autori sostengono che l’eliminazione di segnali e barriere possa aumentare la sicurezza stradale dei pedoni e degli altri utenti della strada, inducendoli a essere maggiormente prudenti e concentrati (Hamilton-Baillie, 20041). Nonostante queste considerazioni, alcune domande restano aperte. In particolare:

  • Gli Shared space effettivamente aumentano la sicurezza stradale, in particolare dei pedoni?
  • Quali sono gli ambiti nei quali è preferibile realizzare degli Shared space?
  • Esistono linee guida o indicazioni per la progettazione degli Shared space?

Negli ultimi anni la ricerca internazionale ha iniziato a dare delle risposte a queste domande.

Shared space – la genesi

I pedoni sono considerati utenti vulnerabili della strada perché la loro sicurezza è maggiormente a rischio rispetto a quella degli altri utenti. Per massimizzare allo stesso tempo la sicurezza stradale ed i flussi veicolari ammissibili, tradizionalmente si segregano le diverse componenti. Quest’approccio, che deriva dai primi lavori di Le Corbousier negli anni ’30, è uno dei principi chiave della moderna ingegneria del traffico. Sfortunatamente è fortemente incentrato sul traffico veicolare e prevede l’uso intensivo di barriere e segnaletica in risposta all’approccio dominante poc’anzi esposto, si è affermato il concetto degli Shared space, volto a restituire alla strada le funzioni che le erano proprie, ossia quelle di luogo di incontro e socializzazione, oltre alla mera funzione di transito.

Il concetto di area a “priorità pedonale” è stato per la prima volta esplicitato da Michel Deronzier negli anni ’80 e ripreso poi da Tim Pharoah, per descrivere gli esempi esistenti di layout di strade, in cui si rilevava l’assenza di una segregazione fra i diversi utenti della strada.

Una maggiore formalizzazione del concetto, sviluppato nell’ambito del progetto Shared spaces, si deve all’ingegnere Olandese Hans Monderman, che ha proposto di regolare il traffico in maniera alternativa, focalizzando l’attenzione sulle attività umane, diverse dal semplice transito, che si svolgono sulla strada.

A differenza degli studi compiuti negli anni ’80, negli Shared space non si punta a limitare il traffico veicolare e la relativa velocità con segnaletica, misure restrittive e interventi di traffic calming, ma l’obiettivo è quello di mutare il comportamento dei diversi utenti della strada su base volontaria, con il supporto di una adeguata progettazione e conformazione dello spazio stradale.

Una migliore condotta degli utenti della strada dovrebbe essere raggiunta, dunque, sostituendo la segnaletica, i semafori e i diversi elementi ingegneristici, con una regolazione di carattere informale fra gli utenti stessi. Ovviamente, le regole base “formali” della strada, quali la guida a destra nell’Europa continentale, rimangono valide negli Shared Space, ma la segnaletica e tutti gli altri elementi di segregazione esistenti nelle strade normali sono spesso completamente assenti. I primi esempi intenzionali di Shared space sono stati implementati nel nord Europa, in particolar modo nei Paesi Bassi, fra il 2004 ed il 2008.

Dove e come progettare e realizzare gli Shared space

Gli Shared space non offrono una soluzione unica per l’organizzazione, la progettazione e l’arredamento degli spazi pubblici. Ogni intervento, sito o situazione necessita, infatti, di soluzioni specifiche. Nonostante questo, negli anni si sono consolidati, in base alle esperienze maturate sul campo, dei principi guida.

Un esempio interessante è rappresentato dal rapporto “Shared space” del Department for Transport (DfT) del Regno Unito, che definisce le linee guida per la progettazione, la realizzazione ed il monitoraggio di uno Shared Space in strade urbane di rilevante importanza economica, commerciale e culturale.

Il rapporto è il prodotto finale di un’analisi commissionata dal DfT della durata di tre anni (terminata nel 2011) e le conclusioni generali sugli Shared space possono essere estese anche ad altre geometrie, quali intersezioni, strade locali o piazze. Il rapporto ha evidenziato come determinate strade o siti già da tempo funzionino come Shared space, senza ulteriori interventi (basti pensare a molti centri storici delle città italiane).

Dall’analisi emerge che non è possibile ottenere una demarcazione netta fra i diversi livelli di condivisione dello spazio, ma si può osservare che, al decrescere dei livelli di segregazione, si ha un aumento della condivisione degli spazi. Dal punto di vista della sicurezza stradale, in base ai dati analizzati, negli Shared space non si osserva un aumento degli incidenti rispetto ai siti convenzionali, nonostante vi si possa riscontrare un aumento consistente di pedoni e di ciclisti.

Per quanto riguarda la localizzazione, gli Shared space sembrano funzionare meglio in quei siti con una forte connotazione culturale, monumentale e/o commerciale ed in quelli in cui sono presenti generatori e attrattori di spostamenti pedonali e/o ciclistici. Per quanto riguarda i flussi veicolari, pur non essendone indicati i limiti superiori, emerge che, oltre i flussi di 100 veicoli/ora, la propensione degli utenti a condividere gli spazi con i veicoli scema. Inoltre, le velocità di progetto per i veicoli dovrebbero essere comprese fra i 30 Km/h (20 miglia/h) e i 20 Km/h (15 miglia/h). Dal punto di vista progettuale, alcune indicazioni principali sono costituite dall’eliminazione dei marciapiedi, in modo tale da garantire che tutta l’area sia allo stesso livello, e dalla presenza di arredamenti urbani che rendano più vivibile lo spazio e fungano da ostacoli laterali al movimento dei veicoli (per esempio file di panchine).

Il rapporto si concentra molto anche sull’accessibilità agli Shared space per gli utenti con limitazioni fisiche o funzionali. Per quanto riguarda gli utenti con problemi di mobilità, si suggerisce l’eliminazione delle barriere architettoniche. Per gli utenti con problemi alla vista, invece, si suggerisce l’inserimento di differenti tipi di pavimentazione con forti contrasti cromatici (ad esempio bianco e nero per gli utenti ipovedenti) e l’inserimento di elementi che facilitino l’orientamento.

Il rapporto mette in luce anche le difficoltà che possono incontrare gli utenti con problemi o limitate capacità cognitive in uno spazio in cui sono stati rimossi tutti gli elementi di regolazione certa. Per tale motivo, si sottolinea l’importanza di una progettazione che preveda l’inserimento di elementi che aumentino la leggibilità dello spazio quali panchine, sculture o alberi.

Il rapporto definisce anche con chiarezza tutti i passaggi che, partendo dalla selezione del sito, conducono alla progettazione e realizzazione di uno Shared space, sottolineando l’importanza di avere, nel gruppo di lavoro, diverse competenze e di coinvolgere tutti gli stakeholders. Infine, il monitoraggio, dopo la realizzazione dell’opera, è ritenuto fondamentale per verificare se l’intervento è stato efficace o se vi sono correzioni da apportare.

Quantificazione degli impatti sulla sicurezza stradale

Com’è emerso, ogni Shared space presenta forti specificità che rendono difficile quantificare in termini generali gli impatti sulla sicurezza stradale. Inoltre, la carenza di valutazioni before-after degli impatti sulla sicurezza stradale su diversi siti, non consente di estrapolare indicazioni generali. Uno dei pochi studi before-after disponibili, è stato effettuato sulla trasformazione in Shared space di Exhibition Road, localizzata nella parte centrale di Londra, avvenuta nel 2011.

Lo studio ha utilizzato tecniche di analisi dei conflitti veicolo-veicolo che si concentrano sui near-misses (situazioni di quasi-incidente in cui uno o più utenti della strada sono costretti ad attuare manovre evasive). Queste tecniche sono prevalentemente basate sull’analisi delle immagini e permettono di raccogliere moli di dati rilevanti in breve tempo, senza dover attendere che avvengano degli incidenti.

Nello studio, la tecnica di analisi utilizzata è la IHTCT (Institute of Highways and Transportation Conflicts Technique), adattata ai conflitti pedoni-veicoli e alle esigenze degli Shared space, nei quali, ad esempio, le traiettorie degli utenti della strada, in particolare pedoni e ciclisti, non sono vincolate a percorsi definiti, quali gli attraversamenti pedonali.

Dall’analisi emerge una riduzione, sia nella frequenza che nella gravità delle situazioni di conflitto, a seguito della trasformazione di Exhibition Road. Complessivamente, il rischio di conflitti diminuisce di circa il 20% dopo l’intervento. Inoltre, dai dati raccolti emerge che la gravità dei conflitti diminuisce sia per i conducenti dei veicoli che per i pedoni. Gli autori, però, sottolineano che gli utenti abituali degli Shared space mostrano un calo della concentrazione, che potrebbe portare, in un secondo momento, a maggiori rischi.

Conclusioni

L’analisi dello stato dell’arte ha evidenziato che gli Shared space sono un valido strumento di intervento, che permette di coniugare diverse funzioni della strada, quali il transito, l’incontro e la socializzazione, ponendo, al contempo, particolare attenzione al pedone. Anche se non esistono prescrizioni definite per l’individuazione dei siti in cui realizzare gli Shared space e per la loro progettazione, a livello internazionale iniziano ad emergere delle indicazioni chiare su dove e come realizzarli, tenendo conto di diversi fattori quali: tipologia del sito e delle attività limitrofe, conformazione geometrica e tipi di flussi veicolari.

Le prime esperienze di Shared space mostrano la capacità di questi interventi di rivitalizzare e restituire le strade ad usi sociali, senza compromettere la sicurezza stradale dei pedoni. Anzi, emerge che tali interventi potrebbero anche migliorare la sicurezza stradale dei pedoni e degli utenti vulnerabili in generale.

Considerazioni, queste, che fanno presumere che, ferma restando la necessità di ulteriori approfondimenti, potremmo trovarci di fronte ad un nuovo strumento di intervento nelle aree urbane, capace di garantire la rivitalizzazione delle strade e una adeguata sicurezza stradale, consentendo, al contempo, l’accessibilità del sito a tutti gli utenti.